Pascal scriveva << che cos’è l’uomo nella natura? Un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, qualcosa di mezzo tra il tutto e il nulla. Infinitamente lontano dalla comprensione di questi estremi, il termine delle cose e il loro principio restano per lui invincibilmente celati in un segreto imperscrutabile: egualmente incapace d’intendere il nulla donde è tratto e l’infinito che lo inghiotte.>> Pascal coglieva nel segno.
L’infinito sarebbe rimasto per l’uomo il suo più grande interrogativo, la sua più grande attrazione, il suo amico più scomodo. Il difficile rapporto uomo-infinito inizia con Zenone, l’allievo di Parmenide che nel V secolo a.C. dimostrò che la somma di infiniti segmenti poteva avere per risultato un segmento finito. La sua dimostrazione sarebbe passata alla storia con il nome di il paradosso della tartaruga: “supponiamo che la velocità di Achille sia di 10 m/s e quella della tartaruga sia di 1 m/s. Poiché un segmento di retta (secondo l’insegnamento dei pitagorici) è formato da infinite porzioni di infinitesima grandezza, anche una pista da corsa deve attenersi agli stessi requisiti. Prima di poter raggiungere la tartaruga egli deve pervenire al punto da cui la tartaruga è partita, ma nel frattempo questa sarà avanzata di un po’…” La conclusione risulta lontana dalla realtà logica: il corridore più rapido (Achille) non raggiungerà mai il più lento (la tartaruga). E in effetti di vero paradosso si trattava, se solo nel 1800 un matematico, Cantor, riuscirà a trovare una soluzione all’enigma, dopo che lo stesso Galileo Galilei aveva desistito dall’impresa.
Georg Cantor nasce a S. Pietroburgo nel 1845 dove rimane fino al 1856, data in cui si trasferisce a Francoforte. Fin da ragazzo mostra una predisposizione per le scienze matematiche; nel 1863 si iscrive all’università di Berlino, dove si laurea nel 1867. Nel 1879 diventa professore di matematica all’università di Halle, cinque anni dopo aver iniziato lo studio di quello che sarà uno dei suoi più grandi risultati: la teoria degli insiemi.
Attraverso la teoria degli insiemi (nessun insieme, e in particolare nessun insieme infinito, ha tanti membri quanti sono i suoi sottoinsiemi. In altre parole, nessun insieme è grande quanto l’insieme delle parti.), Cantor riuscì a dimostrare l’esistenza di infiniti di dimensioni diverse.
Secondo il professore di Halle l’infinito matematico può essere considerato come grandezza che varia crescendo al di là di ogni limite o al di sotto di una quantità piccola a piacere, ma finita, e si tratta di quello che lui definisce un infinito improprio.
Il paradosso di Achille e della tartaruga viene per tanto confutato in quanto il tempo e la distanza che separano Achille dalla tartaruga possono essere rappresentati come un insieme di unità finite di spazio e di tempo; la somma di queste unità dà il tempo e lo spazio finiti entro cui Achille supererà la tartaruga.
In seguito a questi studi Cantor sviluppò con successo la teoria dei numeri transfiniti, collaborando con i matematici Frege e Dedekind, ed inventò per essi anche un sistema di calcolo.
Tuttavia le reazioni degli altri matematici non si fecero attendere. Nell’euforia della loro scoperta – dirà Hilbert- i tre matematici erano stati superficiali in merito alla validità dei loro metodi deduttivi e con il tempo cominciarono ad evidenziarsi delle contraddizioni. Sulla base di queste contraddizioni furono attaccati dal mondo matematico, fino al punto che gli stessi Frege e Dedekind decisero di abbandonare la “lotta” che si era instaurata fra gli studiosi.
A capo di queste critiche vi è Kroniker, e proprio l’ostilità con questo personaggio, caratterizzato da grande fama e prestigio all’interno del mondo accademico, precluderà a Cantor ogni possibilità di avere una cattedra nell’università di Berlino. Solamente all’approssimarsi della sua morte arriverà il grande riconoscimento internazionale tanto atteso.
Nel 1884 Georg manifesta i primi sintomi della malattia nervosa che lo porterà alla morte nell’ospedale psichiatrico di Halle nel 1918.